29/4/ 2019
Quando l'infermità psichica grave si manifesta nel corso della detenzione in carcere, il giudice potrà disporre che il detenuto venga curato fuori dal carcere e quindi potrà concedergli, anche quando la pena residua è superiore a quattro anni o sia di carattere ostativo, la misura alternativa della detenzione domiciliare “umanitaria”, o “in deroga”, così come già accade per le gravi malattie di tipo fisico.
Così ha disposto la Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 99/2019, intervenendo sulla portata delle disposizioni dell'art. 47 ter, comma 1 ter, della legge sull'ordinamento penitenziario (L. 354/1975).
Come viene sintetizzato nel comunicato stampa del 19 aprile u.s. diffuso dalla stessa Corte, i Giudici della Consulta hanno ritenuto che "la mancanza di qualsiasi alternativa al carcere per chi, durante la detenzione, è colpito da una grave malattia mentale, anziché fisica, crea anzitutto un vuoto di tutela effettiva del diritto fondamentale alla salute e si sostanzia in un trattamento inumano e degradante quando provoca una sofferenza così grave che, cumulata con l’ordinaria afflittività della privazione della libertà, determina un sovrappiù di pena contrario al senso di umanità e tale da pregiudicare ulteriormente la salute del detenuto". Ora, alla luce della sentenza adottata, "il giudice dovrà valutare se la malattia psichica sopravvenuta sia compatibile con la permanenza in carcere del detenuto oppure richieda il suo trasferimento in luoghi esterni (abitazione o luoghi pubblici di cura, assistenza o accoglienza) con modalità che garantiscano la salute, ma anche la sicurezza. Questa valutazione dovrà quindi tener conto di vari elementi: il quadro clinico del detenuto, la sua pericolosità, le sue condizioni sociali e familiari, le strutture e i servizi di cura offerti dal carcere, le esigenze di tutela degli altri detenuti e di tutto il personale che opera nell’istituto penitenziario, la necessità di salvaguardare la sicurezza collettiva". Spetterà dunque al giudice verificare se il detenuto, invece che rimanere in carcere, debba essere trasferito all’esterno, “fermo restando che ciò non può accadere se nel singolo caso risultino prevalenti le esigenze della sicurezza pubblica".